Alcuni particolari dell'ultima cena del 14 Nisan .

ALCUNI PARTICOLARI SULL'ULTIMA CENA.

14  NISAN  33 E.V.  Gerusalemme,( PALESTINA.)

            I L   P A N E    E    I L    V I N O

Dalle istruzioni date da Gesu a Pietro e Giovanni e dai gesti compiuti durante l'ultima cena , come la lavanda dei piedi, i canti dell' hallel a chiusura della cena,  e altri particolari, fanno pensare ad una celebrazione 'Nuova' della Pasqua Ebraica.

Pare che  Gesù abbia seguito un antico calendario sacerdotale in uso principalmente presso gli Esseni, il Calendario dei Giubilei, che rispetto al calendario del Tempio anticipava di una sera  la data della Pasqua( la tenne il 14 Nisan , ma non alla fine delle 24 ore di quel giorno ma all'inizio del giorno ebraico dopo il tramonto tra il 13 e il 14 Nisan) : il Cenacolo, del resto, si trovava nel quartiere esseno di Gerusalemme.
Comunque GESÙ  non tenne la stessa Pasqua Ebraica che i giudei  celebrarono la sera successiva tra il 14 e il 15 Nisan dando inizio alla settimana dei pani azzimi.

 Più semplicemente, come  dicono le scritture,  Gesù era consapevole della Sua morte imminente e sapeva che non avrebbe più potuto mangiare la Pasqua: «in questa chiara consapevolezza invitò i Suoi ad un’ultima cena di carattere molto particolare, una cena che non apparteneva a nessun determinato rito giudaico, ma era il Suo congedo, in cui Egli dava qualcosa di nuovo, donava Se Stesso come il vero Agnello, istituendo così la “Sua” Pasqua»

I racconti preferiscono limitarsi a sottolineare due riti conviviali tipicamente giudaici, cioè i gesti di Gesù sul pane e sul vino, la loro benedizione e la distribuzione ai discepoli.

 Gesù ripete due tipici gesti del banchetto giudaico, la frazione del pane e la distribuzione del calice, il rito di apertura e di conclusione di ogni banchetto solenne giudaico.

 Il concetto di frazione del pane comprende il prendere e l’elevare il pane dalla tavola, il pronunciare la benedizione, lo spezzare la focaccia di pane e l’offrirla ai commensali. Il senso principale del rito sta nell’impartizione della benedizione, connessa con il pane, che vuole essere una celebrazione rammemorante e riconoscente per le gesta salvifiche di Dio: si celebra che Dio salva, e si ha fiducia che Dio continuerà a salvare il credente, che non lo abbandonerà.

Ecco i gesti che i racconti mettono volontariamente in luce: che sia una ripetizione o meno della Pasqua ebraica, questo passa in secondo piano perché protagonista non è la Pasqua ebraica, e non fa differenza stabilire che tipo di pane viene usato,  se azzimi o normale, per determinare se Gesù  sta ricordando la Pasqua ebraica, ma è Gesù che fa la --differenza--.
 Oltretutto i gesti sul pane e sul vino fatti da Gesù sono gesti molto straordinari, perché non sono del tutto simili a ciò che solitamente veniva fatti durante la Pasqua Ebraica.

 Per esempio:

Gesù parla,
 mentre il capo famiglia ebraico stava in silenzio;
 Distribuisce a tutti i discepoli la coppa del vino,
 mentre il capo famiglia la dava soltanto o al primogenito o alla persona più importante presente al banchetto .

(si capì subito che era qualcosa che non poteva essere confuso con la ritualità tipica del mondo ebraico);

Gesù si arroga un ruolo del tutto sorprendente, la Sua non è la ripetizione di una cena, ma nel contesto di questa cena Egli è protagonista in maniera esclusiva.

Nel recitare la benedizione sul pane sta dicendo che, 'come il pane esce dalla terra per ristorare luomo' , così il 'suo corpo trasformato è glorificato uscirà  dalla terra con la resurrezione'.

 Per il racconto evangelico determinante è la libertà di Gesù, si vuole mostrare che il suo sacrificio (che sarà il culmine di tutto questo) non è un’imposizione su Gesù, Lui non la subisce semplicemente, la vive: è Lui che dettaglia i passi da compiere perché si realizzi l’insieme che è la Sua Impronta su tutto quello che prefigurava la Pasqua Ebraica.

 Ecco perché è importante che nella cena Gesù operi, faccia, non si limiti a ripetere un gesto che tutti facevano: nel vivere questa ultima cena prima della morte.

Egli stabilisce una partecipazione che è del tutto personale, del tutto Sua!

Gesù non si limita alle usuali formule giudaiche di benedizione, ma conferisce al pane offerto una relazione con il Suo corpo immolato nella morte e, al vino, una relazione con il Suo sangue versato, attualizzando così la Nuova Alleanza di Dio con gli uomini: la Sua promessa di salvezza è adesso per sempre, abbraccerà tutta la storia; infine, stabilisce un legame tra la Sua ultima cena e il futuro banchetto nel Regno di Dio, che significa l’unione perfetta tra Dio e l’uomo.

L'ultima cena   ha a che fare con Dio, che non è semplicemente la rappresentazione in comune di ciò che ogni credente crede o pensa di credere, ma è «presenza reale»: un conto è dire che l'ultima cena  è un momento di insieme dei credenti e un conto è dire che è un essere insieme perché un Dio, che non è confondibile con i credenti, li raccoglie. Il comando: «Fate questo in memoria di Me!» Vuol dire che la verità la si conserva soltanto se è vissuta, non se è mantenuta come una verità astratta: è una verità che è tale perché dà vita. E la verità evangelica non può essere spiegata come la verità dei numeri primi: la nostra cultura è ancora profondamente ancorata al modello di verità della matematica e della tecnica, che valgono per tutti, ma c’è anche un altro concetto di universalità, che è possibile soltanto se sappiamo  leggere la singolarità di ciascuno – questo è il messaggio cristiano.

JD Jonny

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